Responsabilità Medica Penale
In questo articolo parliamo della Responsabilità medica penale, di cos’è e di tutto quello che devi sapere se sei un Medico, un infermiere oppure un professionista sanitario.
La responsabilità penale in ambito medico si identifica con la responsabilità attribuita al sanitario nel momento in cui lo stesso, esercitando la propria professione, abbia causato danni al paziente. Possono essere contestati reati come lesioni colpose o addirittura il decesso, derivanti da errori, omissioni o in violazione degli obblighi inerenti all’attività stessa.
La materia è stata innovata dalla Legge Gelli Bianco che ha introdotto all’interno del nostro ordinamento l’articolo 590 sexies del codice penale, disciplinante la responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario.
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Responsabilità medica penale: la portata della norma
Qual è dunque il fine di tale intervento normativo?
L’articolo 590 sexies del codice penale introduce una causa di non punibilità per l’esercente la professione sanitaria, sia che si tratti di un medico, piuttosto che di un infermiere o di un’altra figura che lavora nel settore.
Ciò significa che, in presenza dei presupposti indicati dalla norma, il professionista non risponderà penalmente per i reati indicati dagli articoli 589 e 590 del codice penale e cioè per l’omicidio colposo e le lesioni colpose causati al paziente.
Quali sono questi presupposti? Vediamoli insieme.
- Anzitutto, come puntualizzato, al sanitario deve essere contestato di aver causato lesioni colpose oppure la morte del proprio assistito, sempre per colpa. L’articolo 590 sexies codice penale non si applica a differenti ipotesi di reato.
- In secondo luogo, al professionista deve essere contestato di aver agito con imperizia, che altro non è che una forma qualificata della colpa della quale tratteremo in seguito.
- Infine, il sanitario andrà esente da responsabilità medica nel momento in cui abbia correttamente scelto e correttamente applicato le linee guida oppure le buone pratiche assistenziali applicabili al caso che sta trattando.
Soffermiamoci insieme sui singoli istituti.
Imperizia
L’articolo 590 sexies del codice penale, introdotto dalla Legge Gelli Bianco stabilisce che il sanitario vada esente da responsabilità nel momento in cui abbia agito con imperizia. E’ opportuno dunque domandarsi che cosa si intenda con tale terminologia e quando, fattivamente, la condotta tenuta dal professionista non venga perseguita.
Facciamo anzitutto una macro distinzione: il reato può essere doloso o colposo.
- Nel primo caso il reato è commesso dal soggetto che si rappresenta l’evento conseguente alla sua condotta (in questo contesto il decesso o le lesioni causate al paziente) e vuole che quell’evento si verifichi.
- Il reato è invece colposo quando l’evento, anche se previsto, non è voluto e si verifica a causa di una condotta caratterizzata da negligenza, imprudenza o imperizia.
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Negligenza, Imprudenza e Imperizi
Caliamo i concetti appena visti nell’ambito sanitario.
- E’ negligente il professionista che, per disattenzione o per superficialità, non rispetti quelle norme comuni di diligenza che è legittimo attendersi da persona abilitata all’esercizio della professione medica e che sono comunemente osservate in ambito sanitario.
- Si ha invece l’imprudenza nel momento in cui il professionista agisce con avventatezza senza adottare le cautele indicate dalla comune esperienza o da precise regole dettate dalla scienza medica. Il sanitario prudente, quindi, al contrario, è colui capace di prevedere le possibili complicanze derivanti dalla somministrazione di un dato trattamento o di prospettare una possibile evoluzione delle condizioni del paziente, così da evitare conseguenze dannose.
Qual è, dunque, la differenza tra imprudenza e negligenza?
La prima va a connotare una condotta attiva, contraria alle regole fondamentali che la comune esperienza consiglia per tutelare la salute del paziente. La seconda, invece, si traduce in una condotta omissiva, nel senso che il soggetto negligente non fa ciò che la scienza medica consiglia di fare nel caso concreto che sta trattando.
Infine, riprendendo il testo dell’articolo 590 sexies c.p., dobbiamo soffermarci sul concetto di imperizia.
- Ebbene, è imperita la condotta del sanitario che risulti incompatibile con quel livello di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l’esercizio della professione medica. Si ha quindi imperizia a seguito dell’inosservanza della “leges artis” e cioè nel momento in cui il sanitario viola una regola specialistica per ignoranza, inabilità o inettitudine, oppure per il fatto di non averla applicata, nonostante fosse tenuto a farlo.
Quando si può parlare di errore
Alla luce di queste premesse, dunque, ci si chiede quale sia l’errore colpevole che viene punito e quello invece scriminato, che va esente da responsabilità medica penale e/o responsabilità medica civile.
Per rispondere, dobbiamo leggere la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione nel 2018, che stabilisce quanto segue.
“L‘esercente la professione sanitaria risponderà, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
- a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
- b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
- c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
- d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico”.
Pertanto, in caso di condotta negligente o imprudente e dunque nelle ipotesi più gravi di colpa, il sanitario risponderà penalmente del proprio operato.
Con riferimento all’imperizia, invece, l’attenzione del legislatore si pone sulla condotta del sanitario nel momento della individuazione delle linee guida, nella esecuzione di quanto contenuto all’interno delle stesse e nella gestione del caso clinico non regolato da linee guida e buone pratiche.
Riassumendo, possiamo dunque dire che la causa di non punibilità contenuta nell’articolo 590 sexies c.p. non è applicabile e dunque il professionista risponderà penalmente per imperizia quando:
- l’atto sanitario posto in essere non è governato da linee-guida o da buone pratiche;
- il caso viene gestito seguendo linee guida e buone pratiche selezionate in maniera inadeguata rispetto a quanto trattato;
le linee guida e le raccomandazioni individuate non siano correttamente applicate allo specifico caso, per colpa grave derivante da imperizia.
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Il Grado della colpa
Quali sono, dunque, i criteri da utilizzare per stabilire se la colpa può essere lieve?
Occorrerà optare per una valutazione in concreto, alla luce del quadro clinico, delle particolari condizioni in cui opera il professionista.
Il Giudice terrà inoltre conto:
- del grado di specializzazione del sanitario
- della novità della situazione da affrontare
- della motivazione della condotta tenuta.
Infine, si guarderà anche alla consapevolezza di porre in essere una condotta pericolosa e allo scostamento tra la condotta adottata e quella che si sarebbe dovuta tenere.
Criteri per la colpa grave
E quando è che si può parlare invece di colpa grave?
La colpa grave è ravvisabile nel momento in cui si ha una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento”.
La condotta del sanitario acquisisce pertanto rilevanza penale, connotandosi dunque per colpa grave, nel momento in cui l’operato del professionista risulta “marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente“.
Pertanto, quanto più il caso trattato risulti complesso, maggiore dovrà essere la propensione a considerare “lieve” l’addebito nei confronti del professionista che, pur uniformatosi ad una condotta accreditata dalla comunità scientifica, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato o abbia determinato la negativa evoluzione della patologia.
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Nesso causale
Un concetto di primaria importanza sul quale è opportuno soffermarsi in ambito penalistico è il “nesso causale”, disciplinato dall’articolo 40 del codice.
La norma così recita: “Nessuno puo’ essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non e’ conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Comprendiamone insieme il significato in questo contesto.
In ambito sanitario, l’evento che si deve evitare sono le lesioni o la morte del paziente, sempre connotati da colpa.
Ciò che il professionista si deve chiedere, dunque è: quando è che l’evento che si ha l’obbligo giuridico di scongiurare viene impedito? Quando è che la mia condotta causa quell’evento che avrei dovuto invece evitare?
E’ qui che entra in gioco il nesso causale.
Possiamo anzitutto dire che è causa di un evento quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato. Dunque, il comportamento umano è causa di un evento solo se, senza di esso, quell’evento non si sarebbe realizzato.
Per verificare la sussistenza o meno del nesso causale tra condotta ed evento, vale la pena quindi fare un ragionamento inverso. Pertanto, se anche in mancanza della condotta posta in essere dal sanitario, l’evento morte o lesioni si sarebbe ugualmente verificato, il sanitario non risponderà dell’evento. Non è sufficiente dimostrare che la condotta posta in essere è stata scorretta: la pubblica accusa e cioè il Pubblico Ministero deve dimostrare che quella condotta scorretta è stata causa di quell’evento.
In questo contesto, per valutare la sussistenza del nesso causale, si ricorre ai criteri utilizzati solitamente dal Giudice e cioè la scienza e l’esperienza. Pertanto, la condotta tenuta dal sanitario sarà vagliata alla luce delle regole di esperienza o delle leggi dotate di validità scientifica, espressione della migliore conoscenza ed esperienza elaborate in quel momento storico.
Dunque, riassumendo.
- Si deve individuare la norma cautelare violata, ad esempio le linee guida non adeguate e non applicate al caso concreto.
- In un secondo momento, verrà indicata la legge scientifica così detta di copertura, che sarà la chiave di lettura del nostro caso.
- In terzo luogo, proprio alla luce di tale legge scientifica, ci si dovrà chiedere che cosa sarebbe accaduto qualora il sanitario avesse posto in essere la condotta raccomandata dalle linee guida: l’evento si sarebbe verificato ugualmente oppure sarebbe stato scongiurato?
Riprendendo infatti il ragionamento inverso sopra elaborato, in ambito sanitario possiamo affermare quanto segue: il nesso causale sussiste nel momento in cui si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal sanitario la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Per far ciò ci si affida ad una generalizzata regola scientifica, o di esperienza.
Se l’evento lesivo si fosse verificato ugualmente, non verrà ravvisata la responsabilità penale del sanitario. Altrimenti, la condotta tenuta dal professionista sarà analizzata sotto altri profili, come il grado della colpa o la presenza di eventuali esimenti, per comprendere se ci siano gli estremi per addivenire ad una condanna in ambito penale.
Individuazione e scelta delle linee guida
Infine, l’ultimo istituto trattato dalla recente normativa, sul quale è opportuno soffermarsi, sono le linee guida.
Si tratta di raccomandazioni di comportamento sviluppate per aiutare il sanitario a prendere decisioni riguardo al determinato trattamento terapeutico da applicare. Le linee guida vengono predisposte per migliorare l’efficacia clinica e la qualità delle cure e per fornire indicazioni utili per la gestione dei rischi nei molteplici casi della pratica clinica.
La Legge Gelli-Bianco, all’articolo 5, opera una tipizzazione delle linee guida ed individua specifiche procedure per il loro accreditamento.
Per avere efficacia scusante, infatti, le linee guida dovranno essere elaborate da enti accreditati a livello nazionale, sottoposte ad un vaglio di idoneità da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, inserite nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate sul sito internet dell’Istituto Superiore di Sanità
L’articolo 590 sexies c.p., al fine di evitarne una applicazione automatica, prevede che il sanitario debba effettuare una scelta calzante e appropriata delle stesse, tanto da doversi discostare dalle linee guida accreditate qualora ritenga che non siano adeguate al caso che sta trattando.
In questi anni, tuttavia, la pubblicazione delle linee guida accreditate non ha rispettato i tempi indicati dalla Legge Gelli Bianco e ciò ha condotto, inevitabilmente, all’utilizzo del secondo criterio interpretativo previsto dall’articolo 590 sexies c.p. e cioè le buone pratiche clinico assistenziali.
La norma pone le buone pratiche in una posizione subordinata rispetto alle linee guida, disponendo che il sanitario debba ispirarsi ad esse nel momento in cui il caso trattato non sia disciplinato da linee guida accreditate. Il ritardo nella pubblicazione delle linee guida, accumulato in questi anni, ha tuttavia portato al diffondersi delle buone pratiche quale criterio interpretativo della condotta tenuta dai sanitari.
Pertanto, gli stessi Giudici, utilizzando l’elasticità della nozione delle buone pratiche che vengono definite talvolta come protocolli e schemi rigidi e predefiniti di comportamento diagnostico-terapeutico, talaltra come indicazioni trattamentali di comprovata efficacia anche se non regolamentate, sono giunti a colmare il vuoto normativo causato dal ritardo accumulato nella pubblicazione delle linee guida, facendo rientrare nella nozione di buone pratiche le linee guida non ancora pubblicate.
Quindi, il criterio che doveva solo essere residuale ( in assenza di linee – guida codificate ) diventa quello principale.
Conclusioni sulla Responsabilità Medica Penale
In questo articolo abbiamo visto tutto quello che devi sapere sulla Responsabilità medica Penale, analizzando la normativa in vigore e le differenze tra responsabilità medica penale della struttura sanitaria e responsabilità del medico.
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